L’aviaria minaccia il futuro dell’avicoltura

mer 17 novembre 2021

Non si ferma il virus dell’influenza aviaria che da qualche setti- mana sta colpendo il Basso Veronese, da Angiari a Isola della Scala, da Nogara fino a Ronco all’Adige e San Bonifacio. Si contano oramai una trentina di focolai con una cifra di tacchini, quaglie, galline e polli abbattuti che tocca il milione di capi. Un danno enorme. «A giovedì 11 novembre i focolai nel Veronese erano già ben 27 e i tipi di allevamento e specie colpite vanno dai tacchini da carne alle quaglie, ai polli, alle galline ovaiole. Il solo numero di capi di tacchini interessati è di 443.555 - dice Andrea Lavagnoli, presidente della Cia-Agricoltori italiani di Verona -. Tutti gli allevamenti interessati si concentrano nel Basso Veronese, dove si trova il 50% di allevamenti veneti ed un terzo di quelli nazionali. Questo fattore di concentrazione, unito alla presenza di un alto numero di specchi d’acqua che richiamano uccelli migratori, favorisce la discussione del virus.

Inoltre, anche qui emerge un tema ambientale. È in corso a Gasglow il “COP26” sui cambiamenti climatici, e molto probabilmente si dovranno assumere anche nuovi indirizzi sulla biosicurezza, a fronte dei cambiamenti che stanno avvenendo sulle rotte degli uccelli acquatici». Il virus che colpisce è l’H5N1, altamente contagioso, tanto che Israele ha bloccato tutte le importazioni di prodotti avicoli dall’Italia. Il Ministero della Salute e la Regione Veneto con le ultime disposizioni del 5 e del 10 novembre hanno dato indicazioni restrittive di tipo strutturale e gestionale per contenere la diffusione dell’epidemia. «L’attenzione degli alle- vatori di Confagricoltura è massima, con l’adozione di tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa - sottolinea Diego Zoccante, presidente degli allevamenti avicoli di Confagricoltura Verona -. La preoccupazione c’è, ma sia l’Ulss che gli allevatori sono in possesso di un’esperienza ventennale in materia di aviaria e perciò, al momento, la situazione è sotto controllo e non siamo ai livelli che si stanno registrando nel Nord Europa, dove si teme un’epidemia tra le più grandi mai viste». «Dall’ultima grande epi- demia, che è stata nel 2017, tutti i protocolli relativi alla sicurezza sono stati potenziati. Oltre allo stoccaggio e allo smaltimento delle carcasse, stiamo adottando una serie di forme di precauzione come la disinfezione di tutti i mezzi in entrata, il cambio di abbigliamento e scarpe dall’esterno all’interno, il divieto di entrata negli stabilimenti del personale non autorizzato - continua Zoccante -. Bisogna comunque tenere alta la soglia di attenzione al fine di impedire la diffusione del contagio».

«L’obiettivo è fermare sul nascere quella che potrebbe diventare una crescita esponenziale di casi e qui bisogna affidarsi ai protocolli sanitari per evitare che il virus si propaghi - avverte Daniele Mirandola della Uila-Uil -. Questo anche per impedire che la situazione di crisi si allunghi alla filiera produttiva della carne, che fino a questo momento non desta segnali di preoccupazione. Ma è chiaro che se gli allevamenti colpiti continueranno a crescere rischiamo una carenza di prodotto che potrebbe portare sia ad una diminuzione dell’attività nelle industrie alimentari, con ripercussioni sull’occupazione, sia ad un incremento dei prezzi che colpirebbe il consumatore finale». «Qui è a rischio l’avicoltura che da decenni si attua in questa parte della provincia.

Ad ogni livello stiamo sostenendo le indicazioni del Ministero della salute e delle Ulss affinché siano adottate tutte le misure di contenimento del contagio - conclude Lavagnoli - . Purtroppo, a seguito degli abbattimenti che verranno disposti, i ristori, in quanto tali, non potranno compensare le perdite di reddito degli allevatori e la compensazione degli investimenti effettuati. In questa situazione, vanno contenuti al minimo gli spostamenti, a qualsiasi titolo avvengano nelle zone di protezione e sorveglianza».

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