Una legge di stabilità a "luci e ombre" che non farà crescere il Paese

ven 11 gennaio 2019

Il governo del Cambiamento ha varato, in “zona Cesarini”, dopo un lungo braccio di ferro con la commissione europea e tra mille polemiche per il mancato dibattito parlamentare, la sua prima “manovra del popolo”. Una manovra molto articolata definita in parte nella legge di stabilità, il cui relativo decreto è già stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, in parte in un altro decreto sui temi più attesi (Reddito di cittadinanza e “quota 100”), di cui si conoscono i contenuti e che deve essere definitivamente approvato nella prossima riunione del consiglio dei ministri. Ne parliamo con il segretario generale della Uila Stefano Mantegazza che ha studiato i contenuti dei due provvedimenti con molta attenzione.

A quanto si riesce a capire, cercando di leggere tra le righe e al di là delle polemiche, sembrerebbe trattarsi di una manovra a “luci e ombre”. È così?

Esattamente. Ci sono misure giuste che il sindacato non può non apprezzare e misure, al contrario sbagliate e inique, che non ci piacciono. Poi ce ne sono altre che apprezziamo in via di principio ma che, al momento, risultano di natura incerta e di difficile applicazione.

Bene, direi di cominciare dalle “luci”. Ne butto lì una: “quota 100”?

Esatto. La possibilità di andare in pensione a 62 anni con 38 di contributi è una decisione che va nella giusta direzione di rendere più flessibile la normativa introdotta con la legge Fornero che, come Sindacato, siamo riusciti, più volte, a far modificare. Sicuramente positive sono anche la conferma dell’opzione donna che permetterà a molte lavoratrici di andare in pensione con 35 anni di contributi e dell’Ape sociale, sia pure per il solo 2019. Positiva anche la possibilità di riscattare, con versamenti agevolati, fino a 5 anni di contribuzione mancante nel periodo tra la prima iscrizione e l’ultimo contributo versato, per poter accedere a “quota 100”.  Sono tutte scelte utili a favorire il ricambio generazionale del mercato del lavoro.

Ma i pensionati con quota 100 perderanno qualcosa?

Certamente, andando in pensione prima, l’assegno sarà più leggero (anche se goduto per più tempo) perché il lavoratore avrà versato meno contributi e sarà meno favorevole il coefficiente di trasformazione della quota contributiva in rendita per la pensione. Altro aspetto da tenere presente è che la pensione con quota 100 non è cumulabile con i redditi da lavoro superiori a 5 mila euro l’anno, fino al raggiungimento dei 67 anni.

Altri aspetti critici relativi al capitolo “quota 100”?

Rimane aperto il problema, tipico del settore agro-alimentare, dovuto alla soglia dei 38 anni di contributi, difficilmente raggiungibile per molti lavoratori. Per questo la Uila tornerà a insistere con Governo e Parlamento perché venga presa in considerazione la proposta di legge tesa a costruire un ponte duraturo e raccordato verso i diversi trattamenti pensionistici per chi perde il lavoro in tarda età e ha almeno 20 anni di contributi.

Altre “luci” in questa manovra?

Apprezziamo molto la proroga della mobilità in deroga, che doveva esaurirsi nel 2016 e la reintroduzione e l’ampliamento della Cassa integrazione in caso di cessazione dell’attività. Molto positive sono anche le misure introdotte per il settore della pesca: la proroga per il 2019 della indennità giornaliera ai lavoratori per i periodi di sospensione delle attività; l’incremento delle risorse disponibili; e, soprattutto, l’introduzione di una misura di sostegno al reddito anche nei casi di sospensione dell’attività lavorativa per cause diverse del fermo obbligatorio, in particolare per condizioni meteo-marine avverse. È una misura che apre la strada verso una reale stabilizzazione del reddito dei pescatori e la definizione di un ammortizzatore sociale strutturato nel settore 

Bene, ora possiamo parlare delle “ombre”. Cosa non piace al sindacato di questa manovra?

Beh, sicuramente dal “governo del cambiamento” non ci aspettavamo misure che introducono condoni, nuove tasse e aumento della pressione fiscale, tagli agli investimenti e alla formazione. Misure che abbiamo sempre contestato ai governi precedenti e che continueremo a combattere.

Procediamo con ordine…

Sarò molto sintetico: non ci aspettavamo nove condoni in un colpo solo, una pressione fiscale in aumento al 42%, una sforbiciata da 4 miliardi di euro ai fondi per la scuola, tasse locali in crescita e investimenti ridotti al lumicino…E poi, soprattutto, due nuove clausole di salvaguardia che, aggiunte a quelle decise a suo tempo dal governo Letta, obbligano il paese a “trovare”, tra tagli e nuove tasse, 23 miliardi di euro nel 2020 e 28 miliardi nel 2021. Il che significa che il rischio recessione per il Paese è dietro l’angolo.

Quindi, in queste misure emerge una certa continuità con le manovre dei governi precedenti?

Neppure Berlusconi era riuscito a fare tanti condoni tutti insieme, la pressione fiscale colpisce sempre le stesse persone, continuano i tagli alla formazione che, evidentemente, non è considerata come una priorità, senza investimenti si bloccano i cantieri e la possibilità di sviluppo del Paese, lo sblocco degli incrementi alla tassazione locale costerà un miliardo in più alle famiglie italiane…

C’è qualcosa, in particolare, che rimproverate al governo?

Si, di non avere “trovato” 100 milioni per ridurre di 2 euro a giornata i contributi previdenziali a carico delle aziende agricole che assumono attraverso la “Rete del lavoro agricolo di qualità”. Il ministro Di Maio, in particolare, nell’ormai lontano mese di settembre a Foggia, dopo la tragedia di tanti lavoratori morti negli incidenti stradali a bordo di camioncini fuorilegge, aveva promesso azioni forti e concrete contro il caporalato in agricoltura. Di quelle promesse restano solo gli annunci e qualche foto sui social.

Abbiamo lasciato in fondo il tema del Reddito di cittadinanza, è una misura che piace al sindacato?

La Uila, quotidianamente impegnata, in particolare nel settore agricolo, a fianco delle fasce più deboli e precarie del paese, non può che apprezzare la scelta politica di garantire a circa 1,4 milioni di famiglie in condizione di povertà un reddito minimo. In termini di principio è quindi una misura positiva, la cui concreta attuazione è però tutta da verificare. Al momento, infatti, questo intervento appare più come una forma di assistenza. Perché possa diventare una modalità per trovare una nuova occupazione “tanta acqua deve ancora passare sotto i ponti”. I Centri per l’impiego che non funzionano e, soprattutto, il lavoro che non c’è, sono i primi grandi ostacoli da superare.

Una domanda a bruciapelo: chi ha vinto con questa manovra?

Tutti i professionisti, gli artigiani e i commercianti che pagheranno un’imposta forfettaria, sottraendosi alla progressività dell’Irpef. In tre anni, per loro, sono quasi 5 miliardi di tasse in meno. Faccio un esempio: un professionista con 30mila euro di compensi annui, pagherà 4.200 euro di imposte in meno di un lavoratore dipendente con un reddito di pari entità.

E chi ha perso?

Come al solito, purtroppo, pensionati e lavoratori dipendenti. Mentre cerchiamo di comprendere come il governo del cambiamento voglia riformare il Paese, emerge chiaramente che saranno loro a pagare il conto salato di questa manovra. I pensionati che percepiscono oltre 1.500 euro lordi al mese avranno una rivalutazione solo parziale dell’assegno e, complessivamente, nel triennio 2019-21, percepiranno 3,6 miliardi in meno. Mentre i lavoratori dipendenti che non beneficiano della flat-tax vedranno ridursi il potere d’acquisto delle loro retribuzioni per l’aumento di tasse locali e bollette.

Quindi in conclusione?

Senza investimenti, in particolare per il Mezzogiorno, senza risorse per le infrastrutture e quindi per la messa in sicurezza del territorio, senza risorse per la scuola e la formazione, il rischio di un paese che torna a piegarsi su sé stesso è, purtroppo, quasi una certezza. Una triste prospettiva confermata dallo stesso governo che stima nel triennio 2019/2021 una crescita per l’Italia dell’1% l’anno, più o meno quanto quest’anno. Ciò dimostra che è il governo stesso il primo a non credere che le scelte fatte porteranno a una crescita economica, condannando il paese a restare uguale a stesso (nella migliore delle ipotesi) e sempre ultimo vagone del treno europeo.

Fonte: "Lavoro italiano Agroalimentare" intervista di Fabrizio De Pascale 

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